Cosa intendiamo quando parliamo di cicoria?

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Cosa intendiamo quando parliamo di cicoria?

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"Quando si parla di erbe e tradizioni popolari, i non addetti ai lavori lamentano di solito lo sconcerto di fronte al numero di specie botaniche, soprattutto Asteracee, e loro relativi epiteti dialettali, anche a carico di una singola specie. Spesso uno stesso fitonimo popolare descrive più specie botaniche: questo fenomeno va sotto il nome di "under-differentiation" in etnobiologia. Nelle culture tradizionali taxa diversi, che presentano però una morfologia simile, o crescono nello stesso ambiente, o presentano un sapore o uso identico, vengono raggruppate in uno stesso livello cognitivo e definite da un unico lessema (folk generic). Questo è stato da sempre un modo elegante ed efficace per "semplificare" il mondo vegetale e per saperne trasmettere la conoscenza oralmente di generazione in generazione. Ogni territorio italiano si caratterizza ancor oggi per una sua particolare predilezione per determinate erbe spontanee alimentari, spesso ignorate o appena considerate in altre zone. E così abbiamo le ajucche (Phyteuma spp.) nel Canavese, i barbabucchi (Tragopogon pratensis) per i cuneesi, i bruscandoli (Humulus lupulus) per i veneti, il terracrepolo (Reichardia picroides) delle mesticanze e i vezzadri (Clematis vitalba) delle frittate primaverili per i toscani), la cicoria (Cichorium intybus) per i lucani e nel Mezzogiorno, la galazzida (Reseda alba) per le comunità grecaniche dell'Aspromonte, i cauliceddi (Brassica fruticulosa) per i contadini etnei. Nel caso di studio in Lucania si dimostra come le traiettorie etnobotaniche alimentari divergano tra autoctoni e comunità Arbershe (comunità albanesi insediatesi nel Mezzogiorno italiano circa 500 anni fa), e come, a dispetto della costanza del fattore ambientale, la raccolta delle erbe alimentari segua traiettorie diverse dettate dalla cultura, dalla lingua, dalle percezioni dell'oikos.
Questo patrimonio di conoscenze e pratiche legate ai saperi popolari naturalistici, che l'UNESCO ha incluso nel 2003 incluso nel Patrimonio Culturale Intangibile, è oggi uno scrigno di cui ancora poco la scienza conosce: gli studi sulle potenzialità nutraceutiche delle nostre erbe alimentari sono ancora sporadici, per non parlare di una sistematica documentazione di quello che rimane delle pratiche fitoalimurgiche nel nostro paese, che sta lentamente avanzando, grazie all'impulso di alcuni gruppi di etnobotanici, ma che ancora presenta moltissime zone non ancora mappate."
L'articolo è una sintesi della lettura, tenuta lo scorso 19 febbraio dal Prof. Andrea Pieroni dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo/Bra (CN), presso il Museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa.
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