Elleboro verde

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Titolo

Elleboro verde

Descrizione

Helleborus viridis L.
FAMIGLIA: Ranunculaceae
GENERE: Helleborous; la prima riorganizzazione moderna del genere Helleborus è stata attribuita dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort che ha tenuto il nome già usato nell'antichità dal botanico Dioscoride. Il binomio scientifico di questo e altri elleboro è stato poi codificato da Carl von Linné.
NOMI LOCALI: elleboro odoroso, elleboro profumato. In tedesco questa pianta si chiama Grüne Nieswurz; in francese ellébore vert; in inglese green hellebore.
PERCHÉ SI CHIAMA COSÌ: per l'etimologia del genere rimando alla scheda sull'Helleborus niger. Il nome specifico "viridis" è un aggettivo latino che significa "verde" e fa riferimento al colore dei sepali.
Gli aggettivi "odoroso" o "profumato" si riferiscono al fatto che questa pianta, se sfregata, emana un leggero odore.
DESCRIZIONE: pianta erbacea perenne rizomatosa. Le foglie basali sono di colore verde-smeraldo, lunghe da 20 a 30 cm, picciolate, composte da 7-13 segmenti lanceolati e finemente seghettati, quelli esterni spesso divisi in 2-4 lobi. Non sempre le foglie basali sono già presenti alla fioritura. Foglie bratteali divise in 3 o più segmenti con il centrale quasi sempre triforcato.
Lo scapo fiorale, alto da 20 a 50 cm è nudo nella parte inferiore.
I fiori, di color verde giallastro, hanno un breve peduncolo di 7/10 mm, sono formati da 5 sepali petaloidi, che formano il calice (e non la corolla). I veri petali (5 in numero), invece, sono ridotti a piccoli cornetti nettariferi, di colore verdastro, posti alla base dell'apparato riproduttivo vero e proprio (la corolla è quindi atrofizzata). La parte centrale del fiore è composta da un gran numero di stami, facilmente riconoscibili dal loro colore giallo, mentre i carpelli, nascosti in mezzo agli stami, sono ben divisi e sono da 3 a 7. Fiorisce da febbraio-aprile.
I frutti sono formati da 3-8 follicoli saldati alla base, lunghi circa 3 cm, con un'appendice lunghetta; contengono tanti semi neri.
DOVE CRESCE: è presente in tutte le regioni dell'Italia settentrionale (ad eccezione della Valle d'Aosta) e in Toscana. Cresce in quercete, boschi misti, faggete su terreno calcareo-siliceo, fino ai 1600 m di quota.
COSA SI UTILIZZA: nulla.
QUANDO SI RACCOGLIE: non si raccoglie, è una pianta protetta da diverse leggi regionali e nazionali.
PROPRIETÀ: la composizione chimica è simile a quella dell'elleboro nero, infatti contiene elleborina ed elleborigenina, glucosidi ad alto grado di tossicità, e degli alcaloidi simili alla veratrina e alla aconitina, pur avendo principi attivi simili, la sua azione sembra essere più violenta rispetto all'elleboro nero. In caso di avvelenamento si hanno diarrea, vomito, arresto cardiaco, nonché danni a livello neurologico.
UTILIZZO CULINARIO: nessuno.
UTILIZZO ESTERNO: nessuno.
UTILIZZO INTERNO: nessuno.
COME SI CONSERVA: non si raccoglie, è una pianta protetta da diverse leggi regionali e nazionali. Viene venduto in vaso ed è coltivabile in giardino: fate attenzione però se avete cani o gatti particolarmente voraci che potrebbero assaggiarlo, perché questa pianta può provocare avvelenamenti anche negli animali domestici.
CURIOSITÀ: anche l'elleboro verde come l'elleboro nero nel Medioevo veniva utilizzato in diversi riti perchè si credeva che avesse la capacità di rendere invisibili; e anche questo, come l'elleboro nero, veniva utilizzato per curare le malattie mentali.
In passato veniva anche usato in caso di vermi intestinali nei bambini, con effetti spesso nefasti!
Secondo una certa tradizione contadina è possibile predire la qualità del raccolto contando il numero di ciuffi di stami presenti: in particolar modo, quattro ciuffi sono indice di un ottimo raccolto, tre di un raccolto mediocre e due di una pessima annata.
Secondo Marsilio Ficino, precettore di Lorenzo il Magnifico, l'elleboro aveva la proprietà di ringiovanire i vecchi e di mantenere giovani più a lungo (peccato che Lorenzo il Magnifico abbia deciso di morire a 43 anni nonostante tutto l'elleboro che Marsilio Ficino gli faceva assumere, o forse proprio per quello? 😜🤭).
Nel linguaggio dei fiori questo elleboro significa calunnia.
Una diceria molto imprecisa sarebbe che Alessandro Magno sia morto proprio a causa delle eccessive dosi di Helleborous viridis che gli furono somministrate per la cura della febbre malarica. In questa diceria ci sono due grossi errori che adesso vi spiego: se leggiamo il passo che descrive la morte di Alessandro Magno ne "Le Vite parallele" di Plutarco (in greco antico: Βίοι Παράλληλοι) ci viene detto che il dieci giugno del 323 a.C. morì a soli 32 anni. Plutarco descrive molto precisamente che i primi sintomi iniziarono il 29 maggio dopo un bagno in un fiume: febbre, mialgia ed esantema, mostrando nelle due settimane successive un andamento ingravescente fino ad arrivare al delirio, ed esitando poi in uno stato stuporoso e di afasia fino ad arrivare infine alla paralisi flaccida, al coma e alla morte. La causa della sua morte, è emersa nel 1973 (trovate tutti i dati in Emerging Infectious Diseases Journal, volume 9, number 12 - December 2003, Marr and Calisher - Virginia department of health) e si tratterebbe della febbre del Nilo Occidentale, la febbre West Nile. La febbre West Nile (West Nile Fever) è una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, Wnv), un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome). Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America. I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le zanzare prima succhiano il sangue da uccelli infetti, poi, in un successivo pasto ematico, trasmettono il virus all'uomo. I sintomi hanno una corrispondenza stupefacente con quelli sperimentati da Alessandro: febbre alta, mal di testa, debolezza muscolare, fino ad evolvere verso l'encefalite, con paralisi flaccida, coma e morte. Interessante a riguardo sono le parole di Plutarco, che ci racconta di come, all'arrivo di Alessandro a Babilonia, uno stormo di "corvi si beccavano a vicenda e alcuni sono caduti morti di fronte a lui", un comportamento tipico degli uccelli infetti da virus West Nile. Una delle cure effettuate ad Alessandro Magno è stata proprio la somministrazione di Helleborous viridis per contrastare i sintomi neurologici, ovviamente senza sortire alcun effetto. Però Alessandro Magno NON è morto per eccessive dosi di Helleborous viridis e NON è morto di malaria, infatti, anche se diversi dei sintomi sono compatibili con la malaria, e la zona in cui si trovava quando è morto è probabile che fosse infestata da Plasmodium falciparum, l'andamento della sua febbre è stato molto diverso da quello tipico della malaria: questo ci mette in condizioni di escludere questa patologia con ragionevole sicurezza. È morto a seguito di febbre del Nilo Occidentale e la cura con Helleborus viridis è stata una delle tante provare per salvarlo. Per questa situazione patologica comunque non esiste ancora un vaccino e una cura, la cura è solo sostegno alle attività vitali.
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