Elleboro puzzolente
Contenuto
Titolo
Elleboro puzzolente
Descrizione
Helleborus foetidus L. subsp. foetidus
FAMIGLIA: Ranunculaceae
GENERE: Helleborus
NOMI LOCALI: elleboro fetido, campuren, cascadente femmina, cavolo di lupo, elabro puzzolento, ellebora, erba dal mael ziton, erba de bias, erba draguna, erba nocca bastarda, erba spussia, fava di morto, favalupi, leber masc, leboro, leburu, luserva, luxersci, luxerton, munnolo, munnuo, nadeccio, pied de griffon, pisciacan, radeccia, rais de bò, redis da Ridigiar, reion, regia, rizzitta, rizzotà, spuzzaroi, spuzzateste, toescegu, tuscigni, varigo, visciatere. In tedesco si chiama Stinkende Nieswurz; in francese ellébore fétide; in inglese stinking hellebore e in spagnolo eléboro fétido o hierba de ballesteros.
PERCHÉ SI CHIAMA COSÌ: per l'etimologia del genere rimando alla scheda sull'Helleborus niger. Il nome specifico è un aggettivo latino che si riferirebbe all'odore sgradevole della pianta, che si può sentire però, solo a seguito dello sfregamento delle foglie, perché la pianta di per sé non ha odore.
Anche i nomi elabro puzzolento, elleboro fetido, erba spussia, fava di morto, spuzzaroi, spuzzateste, sono nomi legati all'odore. Il nomi però sono esagerati, dal nome, ad esempio "fava di morto" uno si prepara alle peggio cose e invece si rimane decisamente delusi perché, se sfregate le foglie hanno un odore effettivamente acre, ma niente di esagerato, ricorda la colla vinilica.
Il nome "erba nocca bastarda" si riferisce al fatto che una pratica veterinaria antica (e molto empirica) era quella di "annoccare" caprini, suini, canidi e bovini, quando presentavano ferite purulente o tumori superficiali. Si introduceva un pezzettino di radice nella ferita o tumore e la radice rilasciava l'elleborina, in grado di stimolare le difese dell'organismo e aiutare la guarigione. Se il povero animale non aveva il buonsenso di guarire dopo questa raffinata pratica chirurgica la domenica per pranzo c'era l'arrosto, suppongo 😉.
Il nome munnolo o munnuo invece è legato al fatto che questo elleboro era utilizzato per la ramazzatura dei forni a legna: venivano legati diversi rami all’estremità di un'asta, immersi in acqua e venivano utilizzati per ripulire dai residui della combustione l’interno dei forni a legna prima di infornare le panelle. (Usanza soprattutto abruzzese descritta da Tammaro F., 1984. Flora Officinale d’Abruzzo, Regione Abruzzo, a cura del Centro Servizi Culturali-Chieti).
DESCRIZIONE: pianta erbacea molto alta, arriva tranquillamente agli 80/100 cm.
È una camefita suffruticosa, ovvero ha fusti legnosi solo alla base, le porzioni erbacee seccano annualmente e rimangono in vita soltanto le parti legnose (e in alcuni casi anche le foglie). Ha radici grosse e scure. Le foglie sono lungamente picciolate (10-20 cm) costituite da 7-9 segmenti lanceolati-lineari, seghettati sul bordo, che spesso si arricciano in fondo. La colorazione delle foglie è verde molto scuro. I rami sono dotati di brattee ovali intere. I fiori, di un verde molto più chiaro rispetto alle foglie, penduli e con una caratteristica screziatura violetto-purpureo, sono portati in infiorescenze costituite da 3-15 elementi. Fiorisce da gennaio a maggio. Una cosa caratteristica, tipica di questo elleboro, è il contrasto tra le foglie di un verde molto scuro e il verde chiaro dello scapo fiorale e dei fiori.
I frutti sono follicoli dotati di rostro uncinato. I semi hanno un colore nero brillante. Anche in questo caso la struttura del fiore è piuttosto primitiva quindi l'ovario è supero e “apocarpico” (con carpelli indipendenti). I carpelli sono da 2 a 7, sessili e disposti in modo spiralato.
DOVE CRESCE: è presente nella maggior parte della penisola tranne in Friuli Venezia Giulia (manca ad est dell'Adige), in Sicilia e Sardegna. Cresce in boschi misti di latifoglie decidue, di solito nelle radure o ai loro margini, con optimum al di sotto della fascia montana inferiore, quindi al massimo lo si trova fino ai 1000 m. Il substrato preferito è sia calcareo che misto (calcareo/siliceo) con pH basico-neutro e terreno leggermente secco.
COSA SI UTILIZZA: nulla.
QUANDO SI RACCOGLIE: non si raccoglie, gli ellebori sono protetti!
PROPRIETÀ: come altre piante dello stesso genere contiene elleborina ed elleborigenina, glucosidi ad alto grado di tossicità, e alcaloidi. Veniva utilizzato soprattutto per la cura delle ulcere cutanee, e per le sue proprietà narcotiche e vermifughe. In omeopatia, il rizoma viene utilizzato nelle psicosi, cefalee ed epilessie.
Come uso tipico abruzzese, D'Andrea ne "Le piante officinali del Parco Nazionale d'Abruzzo" e Fabio Conti ne "Prodromo della flora del parco nazionale d'Abruzzo - Dipartimento di botanica e ecologia dell'Università di Camerino" riportano l’usanza di essiccare e macinare le foglie, con aggiunta di sale, olio, aceto per fare delle frizioni curative (ad esempio per curare la scabbia). Inoltre, in ambito veterinario gli allevatori abruzzesi solevano preparare dei decotti con le parti della pianta, da applicare sulle ferite in via di cicatrizzazione degli animali.
UTILIZZO CULINARIO: nessuno.
UTILIZZO ESTERNO: nessuno.
UTILIZZO INTERNO: nessuno.
COME SI CONSERVA: non si raccoglie e non si conserva.
CURIOSITÀ: come riporta A. Manzi in "Piante sacre e magiche in Abruzzo", l’abbondante fruttificazione dell’elleboro fetido (chiamato favaluche), era ritenuta di buon auspicio per l’annata agraria. In base al numero dei frutti, la produzione dell’anno sarebbe stata più o meno abbondante.
© Copyright Associazione capra&cavoli, condividi non copiare. Grazie
FAMIGLIA: Ranunculaceae
GENERE: Helleborus
NOMI LOCALI: elleboro fetido, campuren, cascadente femmina, cavolo di lupo, elabro puzzolento, ellebora, erba dal mael ziton, erba de bias, erba draguna, erba nocca bastarda, erba spussia, fava di morto, favalupi, leber masc, leboro, leburu, luserva, luxersci, luxerton, munnolo, munnuo, nadeccio, pied de griffon, pisciacan, radeccia, rais de bò, redis da Ridigiar, reion, regia, rizzitta, rizzotà, spuzzaroi, spuzzateste, toescegu, tuscigni, varigo, visciatere. In tedesco si chiama Stinkende Nieswurz; in francese ellébore fétide; in inglese stinking hellebore e in spagnolo eléboro fétido o hierba de ballesteros.
PERCHÉ SI CHIAMA COSÌ: per l'etimologia del genere rimando alla scheda sull'Helleborus niger. Il nome specifico è un aggettivo latino che si riferirebbe all'odore sgradevole della pianta, che si può sentire però, solo a seguito dello sfregamento delle foglie, perché la pianta di per sé non ha odore.
Anche i nomi elabro puzzolento, elleboro fetido, erba spussia, fava di morto, spuzzaroi, spuzzateste, sono nomi legati all'odore. Il nomi però sono esagerati, dal nome, ad esempio "fava di morto" uno si prepara alle peggio cose e invece si rimane decisamente delusi perché, se sfregate le foglie hanno un odore effettivamente acre, ma niente di esagerato, ricorda la colla vinilica.
Il nome "erba nocca bastarda" si riferisce al fatto che una pratica veterinaria antica (e molto empirica) era quella di "annoccare" caprini, suini, canidi e bovini, quando presentavano ferite purulente o tumori superficiali. Si introduceva un pezzettino di radice nella ferita o tumore e la radice rilasciava l'elleborina, in grado di stimolare le difese dell'organismo e aiutare la guarigione. Se il povero animale non aveva il buonsenso di guarire dopo questa raffinata pratica chirurgica la domenica per pranzo c'era l'arrosto, suppongo 😉.
Il nome munnolo o munnuo invece è legato al fatto che questo elleboro era utilizzato per la ramazzatura dei forni a legna: venivano legati diversi rami all’estremità di un'asta, immersi in acqua e venivano utilizzati per ripulire dai residui della combustione l’interno dei forni a legna prima di infornare le panelle. (Usanza soprattutto abruzzese descritta da Tammaro F., 1984. Flora Officinale d’Abruzzo, Regione Abruzzo, a cura del Centro Servizi Culturali-Chieti).
DESCRIZIONE: pianta erbacea molto alta, arriva tranquillamente agli 80/100 cm.
È una camefita suffruticosa, ovvero ha fusti legnosi solo alla base, le porzioni erbacee seccano annualmente e rimangono in vita soltanto le parti legnose (e in alcuni casi anche le foglie). Ha radici grosse e scure. Le foglie sono lungamente picciolate (10-20 cm) costituite da 7-9 segmenti lanceolati-lineari, seghettati sul bordo, che spesso si arricciano in fondo. La colorazione delle foglie è verde molto scuro. I rami sono dotati di brattee ovali intere. I fiori, di un verde molto più chiaro rispetto alle foglie, penduli e con una caratteristica screziatura violetto-purpureo, sono portati in infiorescenze costituite da 3-15 elementi. Fiorisce da gennaio a maggio. Una cosa caratteristica, tipica di questo elleboro, è il contrasto tra le foglie di un verde molto scuro e il verde chiaro dello scapo fiorale e dei fiori.
I frutti sono follicoli dotati di rostro uncinato. I semi hanno un colore nero brillante. Anche in questo caso la struttura del fiore è piuttosto primitiva quindi l'ovario è supero e “apocarpico” (con carpelli indipendenti). I carpelli sono da 2 a 7, sessili e disposti in modo spiralato.
DOVE CRESCE: è presente nella maggior parte della penisola tranne in Friuli Venezia Giulia (manca ad est dell'Adige), in Sicilia e Sardegna. Cresce in boschi misti di latifoglie decidue, di solito nelle radure o ai loro margini, con optimum al di sotto della fascia montana inferiore, quindi al massimo lo si trova fino ai 1000 m. Il substrato preferito è sia calcareo che misto (calcareo/siliceo) con pH basico-neutro e terreno leggermente secco.
COSA SI UTILIZZA: nulla.
QUANDO SI RACCOGLIE: non si raccoglie, gli ellebori sono protetti!
PROPRIETÀ: come altre piante dello stesso genere contiene elleborina ed elleborigenina, glucosidi ad alto grado di tossicità, e alcaloidi. Veniva utilizzato soprattutto per la cura delle ulcere cutanee, e per le sue proprietà narcotiche e vermifughe. In omeopatia, il rizoma viene utilizzato nelle psicosi, cefalee ed epilessie.
Come uso tipico abruzzese, D'Andrea ne "Le piante officinali del Parco Nazionale d'Abruzzo" e Fabio Conti ne "Prodromo della flora del parco nazionale d'Abruzzo - Dipartimento di botanica e ecologia dell'Università di Camerino" riportano l’usanza di essiccare e macinare le foglie, con aggiunta di sale, olio, aceto per fare delle frizioni curative (ad esempio per curare la scabbia). Inoltre, in ambito veterinario gli allevatori abruzzesi solevano preparare dei decotti con le parti della pianta, da applicare sulle ferite in via di cicatrizzazione degli animali.
UTILIZZO CULINARIO: nessuno.
UTILIZZO ESTERNO: nessuno.
UTILIZZO INTERNO: nessuno.
COME SI CONSERVA: non si raccoglie e non si conserva.
CURIOSITÀ: come riporta A. Manzi in "Piante sacre e magiche in Abruzzo", l’abbondante fruttificazione dell’elleboro fetido (chiamato favaluche), era ritenuta di buon auspicio per l’annata agraria. In base al numero dei frutti, la produzione dell’anno sarebbe stata più o meno abbondante.
© Copyright Associazione capra&cavoli, condividi non copiare. Grazie